IL TERMINE GRECO “XENOS” SIGNIFICA SIA STRANIERO CHE OSPITE; TERENZIO AFFERMA NEL “PUNITORE DI SE STESSO“: «SONO UN UOMO E NIENTE DI CIO’ CHE E’ UMANO E’ A ME STESSO ESTRANEO.»

L’EUROPA, E SOPRATTUTTO L’ITALIA, LE CUI CIVILTA’ AFFONDANO LE PROPRIE RADICI NELLA CULTURA GRECO-LATINA, CHE HA SEMPRE ESALTATO IL VALORE DELL’ACCOGLIENZA DELLO STRANIERO, DEVONO AFFRONTARE, CON SPIRITO DI SOLIDARIETA’ E DI RESPONSABILITA’, IL PROBLEMA DELLE MIGRAZIONI DI TANTI DISPERATI CHE FUGGONO DALLA FAME E DALLE GUERRE E CHE NON SI POSSONO CERTO FERMARE CHIUDENDO PORTI E INNALZANDO MURI.

Su Questo tema, ecco le mie CONSIDERAZIONI.

            Il termine “Xénosderiva dall’aggettivo greco ξένος, – η, -ον, che tradotto significa,  per l’appunto, “straniero” e “ospite”. Da esso derivano molteplici parole, importante tra tutte è “Xenìa“, che vuol dire “ospitalità” e, attenendomi allo stesso vocabolario GRECO-ITALIANO, “legame” o “diritto di reciproca ospitalità”. Quindi per gli antichi greci, e poi di conseguenza per gli antichi romani, l’ospitalità dello straniero era un dovere, quasi un obbligo morale, che tutti dovevano rispettare, ed era impensabile che un uomo o una donna a quel tempo non accogliesse o non venisse accolta in città o addirittura in casa. Per fare un esempio dell’importanza di questo valore, in un frammento dell’Iliade di Omero (Iliade VI, vv. 119-236) due guerrieri, Glauco e Diomede, che sul fronte sono avversari, si incontrano e, presentandosi l’uno all’altro, scoprono di avere legami di OSPITALITA’ per via dei loro padri. Non solo decidono di non scontrarsi, ma si scambiano addirittura le armature come dono di ospitalità. Oggi purtroppo si è perso non solo l’uso dell’accoglienza, ma anche quasi del tutto il suo vero significato; con questo termine si indica non soltanto il dovere di accogliere, ma anche di ospitare;  infatti limitarsi a dare da mangiare a qualcuno che ne ha bisogno non basta. Bisogna anche trattare bene lo straniero, come se fosse uno di famiglia. Come possiamo infatti definirci “accoglienti” se dopo aver dato da bere allo straniero lo denigriamo, quasi come fosse una bestia? Oppure, se dopo averlo fatto entrare in casa, avergli dato da mangiare e bere lo cacciamo perché ci illudiamo di aver adempiuto ai nostri doveri e quindi non abbiamo più a che fare con questo? Già il fatto di chiamare qualcuno “estraneo” o “straniero” dovrebbe farci riflettere. Estraneo è ciò di cui non conosciamo la natura, qualcosa che non appartiene al nostro modo di vivere. Ma tra uomini può mai essere così? Ricordando che siamo stati generati non per nostra volontà e da un Dio che chiamiamo persino padre, è prettamente sbagliata questa definizione. Il commediografo romano Publio Terenzio Afro (195-159 a.C.), nella commedia “Heautontimonùmeros” (Il punitore di se stesso) scrive: «Homo sum: humani nihil a me alienum puto» («Sono un uomo: niente di ciò che è umano considero a me estraneo»), cioè tutto quello che concerne nel termine umanità non può essere estraneo allo stesso uomo.

            Oggi, nel XXI secolo sembra che l’Europa tutta abbia scordato questi valori dati ad essa in eredità dalle popolazioni che la abitavano circa tremila anni fa e non solo: non scordiamo che anche i Cristiani hanno questi doveri, e lo troviamo scritto proprio nel libro per eccellenza della religione Cristiana: la Bibbia. San Paolo infatti, nella lettera agli Ebrei scrive: «L’amore fraterno resti saldo. Non dimenticate l’ospitalità; alcuni, praticandola, senza saperlo hanno accolto degli angeli»(Eb 13, 2). Infatti il Cristianesimo ha come fondamento proprio l’ospitalità e l’amore reciproco. «Ama il prossimo tuo come te stesso» (Mc 12, 31-32), questo è quello che ci dovrebbe far riflettere: amiamo il nostro prossimo come amiamo noi stessi?

            «Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25,40). A parlare è Gesù, che ci esorta espressamente ad accogliere il nostro prossimo. Ma il nostro prossimo è per forza lo straniero? Un nostro amico, magari anche benestante, non può essere il nostro prossimo? Chiunque abbia bisogno di aiuto, del nostro aiuto, è il prossimo, e la Xenìa ci rimanda proprio a questo. Tutti gli uomini, tutte le donne, tutti i ragazzi, tutte le ragazze hanno il dovere innato di accogliere chiunque, straniero e non. Se infatti non siamo accoglienti con un nostro caro, un nostro amico o un nostro conoscente, come possiamo esserlo con chi non conosciamo? E, per chi abbraccia la religione Cristiana, sa che in ogni immigrato, povero, mendicante è presente il nostro Signore Gesù Cristo. Ma a prescindere da ciò, l’accoglienza è cosa buona e giusta per etica. Tra uomini ci si deve accogliere, non siamo bestie, abbiamo tutti quanti una coscienza per poter capire quando sbagliamo, e nel momento in cui cacciamo qualcuno, a prescindere dal colore della pelle e dalla religione, stiamo andando contro la nostra natura.

            Quello che sta accadendo ultimamente in Italia è una vergogna per l’intera nazione. Chiudere i porti e alzare muri! Come è possibile questo? Veramente crediamo alla scusa che l’Italia non può reggere tali spese? O è semplicemente razzismo? E la colpa di chi è? Di alcuni politici (che poi è errato definirli “politici” poiché la parola deriva dal sostantivo greco πόλις – πόλεως che significa “città-stato”, quindi il politico è colui che si preoccupa di far progredire la città e non i propri scopi) i quali sembra che stiano scacciando la malaria dalla nazione. Ma non sono tanto loro il vero problema tanto quanto chi, nel popolo, li appoggia. Vogliamo veramente tornare ai campi di concentramento? Perché di questo passo si tornerà proprio a quelli. Anzi, non ce ne sarebbe nemmeno bisogno dato che la maggior parte di questi migranti muoiono in mezzo mare, annegati o di febbre. Cause che sembrerebbero naturali, ma che sono causati dall’insensibilità degli uomini dei nostri giorni. Non c’è bisogno di usare la violenza, di cacciare gli uomini che cercano soccorso e di creare conflitti, ma urge la necessità di amare, di accogliere, di mettere pace tra i popoli. Buttiamo quelle stupide armi, apriamo i nostri porti al prossimo, smettiamo di farci la guerra fra uomini, e solo allora il mondo potrà veramente cambiare e per tutti ci sarà la possibilità di un mondo migliore!

Alunno Vincenzo Sergio – classe III